L’arte è tutto ciò che l’uomo riesce ad esprimere in relazione al mistero. L’alleanza fra arte e mistero risale ai primi anni del cristianesimo, ai primi affreschi e graffiti presenti negli ipogei: croce, pesce, rappresentazioni e figure umane. Già il sacro. L’uomo nella visione cristiana è un essere sacro, la creazione stessa è sacra. La Chiesa stessa è d’origine divina, d’essere Una, sinfonia d’anime unite al Figlio di Dio attraverso colei che l’ha partorito: Maria di Nazareth. E’ Lei il tesoro dell’ago della cruna, che partorisce suo Figlio in tutti i battezzati, accogliendoli come figli nel suo grembo, che è la Chiesa, attraverso cui Maria è Madre, per generarli alla vita, alla luce, all’amore per la formazione di un Io pacificato con sé stesso nella sequela di colei che è stata essa stessa alla sequela del Figlio.
La forza che esprime l’arte è iconografia del mistero, perché l’uomo è esso stesso mistero che si esprime attraverso l’ispirazione che s’incarna nella bellezza del mistero. L’uomo è nostalgia della dimensione della bellezza, perché non esiste uomo sbagliato, iniquo, nemico del bene, ma un cuore che ha tensione di Dio e per ciò stesso un cuore portato geneticamente verso il bene.
La premessa va fatta per inquadrare il rapporto fra l’arte visiva e la fede e la sua storia di stretta e feconda alleanza.
Entrando in tema, la Chiesa è stata una committente straordinaria di opere d’arte. Del Dio che può essere rappresentato, in quanto fattosi carne nel Figlio, sul quale il cristianesimo ha potuto giustificare la “rappresentazione” di Dio per immagini. L’ispirazione artistica generantesi dall’esperienza di fede è stata una costante nella storia della Chiesa. L’alleanza fra arte e fede nel corso della storia non è stata affatto lineare. Ha subito progressivamente delle lacerazioni a partire dal XVIII secolo con l’ispirazione che perde progressivamente quel mood che l’ha contraddistinta nei secoli precedenti.
La frattura fra arte e fede si è oggi ulteriormente degradata nel senso in cui affronta la realtà religiosa al punto che un cambio di passo diventa difficile visti i costumi dell’odierna società. In altre parole l’arte contemporanea sembra aver dimenticato Dio e la sua storia con l’umanità.
Occorre chiarire un concetto: il problema dell’immagine “liturgica”, sia dal p.d.v. dell’artista che di quello del fedele. Dalla parte del fedele, il desiderio liturgico in rapporto all’arte, non è di chiedersi se di fronte a lui c’è un’opera d’arte di grande valore artistico, quanto piuttosto di domandarsi se quell’immagine lo aiuta alla celebrazione del rito e della preghiera; se gli permette di entrare nel silenzio attivo che lo aiuti a penetrare l’invisibile, per aprirsi così ad una dimensione d’ascolto alla parola di Dio che gli parla nell’intimità. L’immagine così diventa relazione che il fedele desidera instaurare con Dio. Il senso dell’immagine, dunque, non è tanto quello di “spiegare” o “commentare” un testo, quanto quello di diventare spazio di relazione con sé stessi e con Dio nella Chiesa, per dirla ad immagine, una porta che si affaccia sul mondo di Dio e della verità dell’uomo.
Dalla parte dell’artista, costui è chiamato a confrontarsi con un fondamento “veritativo” della fede cristiana. L’interrogativo è di domandarsi come la propria visione del mondo può diventare il luogo di trasmissione di un’esperienza di fede, affinché il mondo della parola in parresia dei testi evangelici possa incontrare il proprio vissuto e dunque esprimere una comprensione delle verità di fede.
Non è un caso che per i monaci bizantini, dipingere è preghiera, in quanto appartiene ad un’esperienza di fede.
Per inciso, chi scrive compone poesie, espressione di esperienze di fede, attraverso un’esperienza di senso che lega le verità di fede in relazione all’odierna società in cui l’uomo è ridotto a merce di mercato. Il libro di poesia in uscita a febbraio si chiama “Amati, ricette per l’anima”, edito da Fides. E per farmi conoscere meglio dai lettori non monopolitani, è Direttore ed Editore del mensile storico “Il Borgo” di Monopoli.
Ritornando al tema del dipingere in preghiera, non si tratta dunque di rinnovare un’iconografia con un aggiornamento moderno, ripetendo pedissequamente alcuni linguaggi contemporanei, o di ripetere senza originalità un’iconografia consolidata, quanto, come detto, di fare esperienza della rivelazione di Dio e darne testimonianza con un linguaggio contemporaneo, affinché possa essere vivo e significante all’uomo. Senza questa ricerca di senso attraverso le verità di fede, (ermeneutica) non ci può essere trasmissione di un contenuto di fede. Per l’artista si tratta di interpretare la verità della vita in relazione al mistero di Dio.
Una siffatta interpretazione della “rappresentazione” nella sua forza affettiva ed emozionale e nella sua dimensione simbolica, aprirà al desiderio d’incarnare un senso per l’uomo, di farsi legame tra l’immagine e la dimensione di senso. In questa capacità di unire sta la forza simbolica di ogni arte.
In ultima analisi, ogni opera d’arte deve incarnare un senso che rimanda al senso della fede, alle verità più profonde, così da diventare dono di significato, immanenza di senso, manifestazione sensibile della bellezza.
I capolavori d’arte della Chiesa hanno in matrice questo senso, di contribuire ad arricchire col proprio vissuto, il mistero, senza adulterarlo o stravolgerlo. Il richiamo a Michelangelo, a Raffaello, a Giotto, a Caravaggio, a Botticelli, a Guido Reni e allo stesso Pier Paolo Pasolini con la sua opera d’arte del film del 1968 “Il vangelo secondo Matteo”, è in questo senso apodittico.
Vitantonio MARASCIULO