Ricordo del pittore che visse tra arte e disagio mentale. Morì il 27 maggio 1965, a Gualtieri, in provincia di Reggio Emilia.
Il 27 maggio 1965, a Gualtieri, in provincia di Reggio Emilia, moriva il pittore e scultore Antonio Ligabue. Nato a Zurigo nel 1899, Ligabue cambiò il suo cognome da Laccabue, quello del patrigno Bonfiglio Laccabue, che sua madre aveva sposato due anni dopo la sua nascita. Non visse mai con la famiglia d’origine e già ad un anno fu affidato a una coppia senza figli di svizzeri/tedeschi. Trascorse un’infanzia di stenti, miseria e malattie che ne compromisero lo sviluppo fisico e mentale. A causa delle difficoltà di apprendimento scolastico e della cattiva condotta, fu espulso da scuola e trovò presto sollievo nel disegno.
Passò anni tra ricoveri psichiatrici e vita errabonda, lavorando saltuariamente come bracciante agricolo e accudendo gli animali delle fattorie. Nel 1918 fu espulso dalla Svizzera dopo aver aggredito la madre adottiva e fu inviato a Gualtieri, paese d’origine del patrigno Laccabue. Tentò di scappare ma fu ripreso e affidato all’assistenza dell’”Ospizio di Mendicità Carri”. Riprese in seguito la sua vita nomade, lavorando saltuariamente come bracciante o manovale, ma iniziò a dipingere, trovando in questo modo una via di fuga dalle sue ansie, dalla solitudine e dalle ossessioni.
Nel 1928, grazie all’incontro con il pittore Renato Marino Mazzacurati, che ne comprese le qualità artistiche genuine e gli insegnò l’uso dei colori ad olio, Ligabue decise di dedicarsi completamente alla pittura. Fu ricoverato all’Ospedale San Lazzaro di Reggio Emilia per stati maniaco-depressivi che gli causavano attacchi violenti verso le persone e verso se stesso. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu ricoverato altre volte nell’ospedale psichiatrico e lavorò come interprete per le truppe tedesche, ma dopo aver colpito con una bottiglia un soldato tedesco fu nuovamente rinchiuso in ospedale psichiatrico. Uscito dall’ospedale, riprese a dipingere sempre più intensamente, utilizzando la sua straordinaria memoria visiva.
Dai ricordi dell’infanzia alle immagini e scene viste nella quotidianità, su cartoline, nei paesaggi, nei film e nei libri, Ligabue creava scene dalla grande forza primordiale, espressiva ed evocativa, senza l’uso di modelli. Approdò ad un linguaggio dalla particolare forza evocativa, tra l’ingenuità naif e la carica drammatica espressionista. Tra i soggetti preferiti ci furono gli animali, sia domestici che esotici, in pose di quiete o di forte tensione, e i paesaggi locali e svizzeri. Dalla fine degli anni ’40, la critica iniziò a interessarsi alla sua arte e negli anni ’50 furono allestite le sue prime importanti mostre personali, che ne decretarono in seguito un grande successo nazionale. Nel 1962 fu colpito da una emiparesi e, dopo varie cure, trovò ultima ospitalità nuovamente presso il Ricovero Carri di Gualtieri, dove morì nel 1965.
Questa mia opera a carboncino, che è stata esposta nella mia mostra personale al “Museo della Grafica” di Pisa nel 2021, è in suo omaggio e memoria.
Bruno Pollacci
Direttore dell’Accademia d’Arte di Pisa